Milano, 24 feb. (AdnKronos Salute) - Una missione: impedire la cascata di eventi che porta al danno irreparabile. E allontanare l'incubo delle emorragie continue, per garantire un'infanzia normale, come quella degli altri bambini, e una vita adulta attiva, alle persone affette da una delle malattie rare più frequenti: l'emofilia, che può essere congenita o meno comunemente acquisita, ma colpisce duro. Un nome, più facce della stessa medaglia. Negli anni gli specialisti hanno affilato le armi. E oggi la parola chiave per tenere a bada il nemico è: personalizzazione delle terapie che vengono modulate e tagliate sempre più su misura per ciascun paziente e il suo stile di vita.
In gioco c'è la capacità di movimento dei pazienti. L'emofilia è dovuta al deficit di uno dei fattori di coagulazione del sangue, l'VIII nell'emofilia A che colpisce uno su 5.000 maschi nati vivi, e il IX nell'emofilia B che si accanisce su uno ogni 30.000. Stessa manifestazione clinica, stessa trasmissione genetica, legata al cromosoma X (le donne sono portatrici del difetto, mentre quasi esclusivamente i maschi vengono colpiti). La malattia può manifestarsi in forma grave, moderata o lieve a seconda dell'entità di questa carenza. E nei casi più severi le emorragie sono spontanee, anche in assenza di trauma, e la diagnosi arriva immancabilmente in tenera età. Basta un emartro (sangue che si raccoglie nella cavità di un'articolazione) per innescare una catena che porta a danni irreversibili. Quando l'artropatia peggiora si può arrivare fino al blocco articolare e alla perdita di mobilità.
"L'obiettivo per noi specialisti è proteggere le articolazioni. E per questo nei bimbi la Terapia va cominciata entro i 2 anni, anche se è difficile per un bambino convivere con una quotidianità fatta di punture venose. Si garantisce così un'attività fisica normale e una situazione migliore da adulti", spiega Maria Elisa Mancuso, ematologa del Centro di Emofilia e trombosi 'Angelo Bianchi Bonomi' di Milano, oggi durante un incontro dedicato alle malattie rare e organizzato con il contributo di Shire nel capoluogo lombardo.
Oggi, sottolinea l'esperta, "la terapia sostitutiva è efficace e sicura. Il fattore mancante lo diamo per via endovenosa con cadenze frequenti, perché i fattori dopo un certo numero di ore vengono smaltiti".
Il trattamento è al bisogno o in Profilassi, strategia quest'ultima che "punta alla prevenzione della malattia. La ratio è trasformare la forma grave in lieve - approfondisce Mancuso - Le infusioni vengono ripetute, secondo l'emivita del fattore, per mantenere un livello misurabile che consenta un'attività senza emorragie. Non c'è un regime standard, ma in genere si viaggia su 2-3-4 infusioni a settimana", a seconda della gravità e del tipo di emofilia, A o B. "Se il livello del fattore va mantenuto più alto, si aumenta la dose o il numero di infusioni. C'è la possibilità di personalizzare la profilassi, facendo il dosaggio e aggiustando il regime terapeutico per raggiungere un livello che sia ottimale per il paziente e il suo stile di vita, più o meno attivo".
La terapia sostitutiva "non è invece possibile per l'emofilia acquisita", che è molto più rara (1,5-2 casi l'anno ogni milione di abitanti) ed esordisce intorno ai 70 anni con un'alta mortalità o ancora più raramente nella sua forma post-partum in giovani donne. "C'è però un nuovo farmaco a base di fattore VIII ricombinante porcino, che è simile a quello umano, ma ha il vantaggio di non essere riconoscibile dagli anticorpi. Possiamo inoltre monitorare la risposta in laboratorio", conclude la specialista.
In gioco c'è la capacità di movimento dei pazienti. L'emofilia è dovuta al deficit di uno dei fattori di coagulazione del sangue, l'VIII nell'emofilia A che colpisce uno su 5.000 maschi nati vivi, e il IX nell'emofilia B che si accanisce su uno ogni 30.000. Stessa manifestazione clinica, stessa trasmissione genetica, legata al cromosoma X (le donne sono portatrici del difetto, mentre quasi esclusivamente i maschi vengono colpiti). La malattia può manifestarsi in forma grave, moderata o lieve a seconda dell'entità di questa carenza. E nei casi più severi le emorragie sono spontanee, anche in assenza di trauma, e la diagnosi arriva immancabilmente in tenera età. Basta un emartro (sangue che si raccoglie nella cavità di un'articolazione) per innescare una catena che porta a danni irreversibili. Quando l'artropatia peggiora si può arrivare fino al blocco articolare e alla perdita di mobilità.
"L'obiettivo per noi specialisti è proteggere le articolazioni. E per questo nei bimbi la Terapia va cominciata entro i 2 anni, anche se è difficile per un bambino convivere con una quotidianità fatta di punture venose. Si garantisce così un'attività fisica normale e una situazione migliore da adulti", spiega Maria Elisa Mancuso, ematologa del Centro di Emofilia e trombosi 'Angelo Bianchi Bonomi' di Milano, oggi durante un incontro dedicato alle malattie rare e organizzato con il contributo di Shire nel capoluogo lombardo.
Oggi, sottolinea l'esperta, "la terapia sostitutiva è efficace e sicura. Il fattore mancante lo diamo per via endovenosa con cadenze frequenti, perché i fattori dopo un certo numero di ore vengono smaltiti".
Il trattamento è al bisogno o in Profilassi, strategia quest'ultima che "punta alla prevenzione della malattia. La ratio è trasformare la forma grave in lieve - approfondisce Mancuso - Le infusioni vengono ripetute, secondo l'emivita del fattore, per mantenere un livello misurabile che consenta un'attività senza emorragie. Non c'è un regime standard, ma in genere si viaggia su 2-3-4 infusioni a settimana", a seconda della gravità e del tipo di emofilia, A o B. "Se il livello del fattore va mantenuto più alto, si aumenta la dose o il numero di infusioni. C'è la possibilità di personalizzare la profilassi, facendo il dosaggio e aggiustando il regime terapeutico per raggiungere un livello che sia ottimale per il paziente e il suo stile di vita, più o meno attivo".
La terapia sostitutiva "non è invece possibile per l'emofilia acquisita", che è molto più rara (1,5-2 casi l'anno ogni milione di abitanti) ed esordisce intorno ai 70 anni con un'alta mortalità o ancora più raramente nella sua forma post-partum in giovani donne. "C'è però un nuovo farmaco a base di fattore VIII ricombinante porcino, che è simile a quello umano, ma ha il vantaggio di non essere riconoscibile dagli anticorpi. Possiamo inoltre monitorare la risposta in laboratorio", conclude la specialista.
Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio 2017
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