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Depressione post partum: parlarne per sconfiggerla

Depressione post partum: parlarne per sconfiggerla

Il male oscuro colpisce novantamila donne italiane ma troppo spesso resta un tabù. Perché è importante parlare di depressione post partum?

Una donna decide di trasferirsi in un isolato paesino di montagna per trascorrere un mese di vacanza insieme al suo bambino. Il piccolo non dorme e spesso piange e una sera accade qualcosa di strano. Il proprietario della casa, misterioso e riservato, sfonda la porta e trova il bambino ferito.

È la trama di 'Quando la notte', il film di Cristina Comencini (autrice anche del romanzo da cui il film è tratto) con Filippo Timi e Claudia Pandolfi. Lo spettro che per tutto il film aleggia su questa mamma è quello della depressione post partum e la decisione, poi ritirata, di porre una censura per i minori di 14 anni ha acceso il dibattito circa l’importanza di parlare di questo disturbo perché proprio il 'non detto' e l’indifferenza possono essere alleati della Depressione post partum.

In Italia le stime rivelano che circa novantamila neomamme convivono con questo nemico che trova terreno più fertile in quei contesti familiari nei quali la donna si trova sola ad affrontare la novità, la fatica, la carenza di sonno, il senso di inadeguatezza e la fatica fisica provocati dall’arrivo del bebè.

Inoltre spesso, soprattutto nelle coppie che si sono trasferite dalla località di origine in luoghi diversi, manca quel sostegno familiare indispensabile affinché la neomamma non si senta oppressa dalla solitudine e dall’insicurezza.

Per questo di depressione post partum è importante parlare. Per abbattere i tabù e per non fingere che non esista. E soprattutto per aiutare queste mamme. Si calcola che la metà dei casi di depressione post partum non venga diagnosticata e ciò può mettere in serio pericolo il benessere (e in certi casi la vita) della mamma, del bambino e dell’intero Nucleo familiare.

Proprio per diffondere l’idea che la depressione post partum non va sottovalutata è partita la campagna Un sorriso per le mamme, promossa dall’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (O.N.Da), con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Salute.

La campagna mira a raggiungere le neomamme colpite da questo disturbo e i loro familiari e promuovere le attività di sostegno che svolgono i sei centri di eccellenza presenti in Italia: Dipartimento di Neuroscienze Centro Depressione Donna presso l’Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli Oftalmico di Milano, Clinica Psichiatrica dell’Università Di Torino, Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa, Clinica Psichiatrica dell’Università di Ancona, Clinica Psichiatrica dell’Università di Napoli, Clinica Psichiatrica dell’Università di Catania.

L’obiettivo dei promotori di questa campagna, che durerà tre anni, è anche quello di lavorare affinché in ogni Centro nascita italiano venga attivato un punto di ascolto per le neomamme. Perché la depressione post partum non è un disturbo che interessa solo le donne ma anche i loro figli.

Un recentissimo studio condotto dalla New York School of Medicine e pubblicato su Pediatrics ha, infatti, scoperto che la depressione della madre, ma anche quella paterna, aumenta significativamente il rischio che il figlio vada incontro a problemi di natura fisica e mentale.

La ricerca ha coinvolto più di 21mila bambini e ha mostrato che l’Incidenza di problemi comportamentali ed emotivi era del 25% se entrambi i genitori erano depressi, del 19% se ad essere depressa era solo la mamma e dell’11% se il papà aveva questo problema (un dato sorprendente che chiarisce quanto anche la depressione paterna sia sottovalutata). Al contrario l’incidenza risultava essere di solo il 6% tra i bambini figli di genitori sani.

Ultimo aggiornamento: 18 Maggio 2015
4 minuti di lettura
Commento del medico
Dr. Vittorio Tripeni
Dr. Vittorio Tripeni
Specialista in Psicoterapia

Sono ancora una volta le scene drammatiche di un film a scuotere la coscienza troppo a lungo sopita e metterci a confronto con una realtà non nuova.

Così, il film di Cristina Comencini (Quando la notte, 2011), straordinariamente intenso, squarcia il velo dell’ipocrisia mettendoci a confronto con la pesante sofferenza esistenziale di una maternità complicata. È la storia di una donna sola davanti alla propria incapacità di essere la brava madre che, razionalmente, vorrebbe essere; narrata da un film che ci costringe a tener conto di un lato oscuro e tuttavia importante della maternità.

Quel senso di solitudine e sofferenza interiore che invade la protagonista è una realtà che può fare paura, tuttavia non possiamo nasconderci che in molti casi è parte della maternità. È uno stato d’animo che ha bisogno di essere riconosciuto e legittimato, prima ancora che curato. Non deve far paura o vergogna e tanto meno essere nascosto.

Tra i vari spunti di riflessione che affiorano dal film, ve ne sono tre ai quali voglio dedicare maggiore attenzione. Toccano principalmente il tema della sofferenza psichica che può comparire, in determinate situazioni o circostanze, all’interno della relazione gestante-feto e, madre-bambino (non trascurando di annotare una eventuale e parallela sofferenza del padre). Fanno da contraltare, i motivi conduttori dell’ascolto/empatia e della fiducia quali fondamentali capacità di cura....

...mi piacerebbe considerare la fattiva collaborazione dei medici di base e dei pediatri con gli psicologi, una relazione che si manifesti attraverso percorsi di ricerca e progetti di informazione e formazione che mettano in risalto le problematiche accennate e attivino una rete professionale sensibile e capace di rilevare in tempi adeguati il disagio, per riconoscerlo e supportarlo adeguatamente.

Allo stesso tempo, auspico una fondamentale tendenza alla fiducia nei confronti delle madri che si trovano ad affrontare le difficoltà alle quali si è fatto cenno prima.

La fiducia è l’uccello che canta quando la notte è ancora buia (Tagore).

Per approfondire leggi la scheda.

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