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Sanità: Salutequità, da Recovery a Ssn meno di 50% risorse perse in 10 anni

Roma, 1 feb. (Adnkronos Salute) - Le risorse del Recovery Plan destinate alla sanità, 19,7 miliardi di euro, sono insufficienti per una svolta del
Roma, 1 feb. (Adnkronos Salute) - Le risorse del Recovery Plan destinate alla sanità, 19,7 miliardi di euro, sono insufficienti per una svolta del Servizio sanitario nazionale: coprono poco meno del 50% degli oltre 40 miliardi sottratti alla sanità in 10 anni. La Salute, con l'8,8% rispetto alle risorse totali, resta l'ultima ruota del carro, circa 8 miliardi in meno rispetto alla missione 'Inclusione e coesione', penultima per finanziamenti. E' quanto spiega in sintesi Tonino Aceti, presidente di Salutequità, associazione indipendente per la valutazione della qualità delle politiche per la salute, nel secondo Report dell'associazione, dedicato al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e appena pubblicato.
A completare il quadro tracciato dal rapporto, il fatto che "i 'Piani di azione' per i diversi progetti, da definire entro 2-3 anni rispetto all'utilizzo delle risorse articolato su 6 anni, rischiano di ridurre le potenzialità e gli effetti delle misure in campo: i piani di azione si devono tradurre in qualcosa di subito attuabile, non diluito nel tempo. Ancora assente il modello di governance istituzionale per il monitoraggio e l'attuazione del Pnrr, come pure quello della governance della spesa sanitaria tra Stato, Regioni e Asl, con effetti su tempi di realizzazione".
"Le risorse destinate alla sanità - precisa Aceti - passano da 15 miliardi, cifra certificata dal Governo come già disponibile nella prima versione di Recovery Plan, a 19,7 miliardi. Nessun raddoppio, quindi, ma lo spostamento da una parte all'altra di risorse già presenti nella precedente versione del Recovery Plan e un'aggiunta di 4,7 miliardi". Per Aceti, considerate le risorse perdute in 10 anni, si tratta di "un rifinanziamento, in parte, di alcune voci fino a oggi sottostimate e lasciate alla spesa privata, non un investimento per un nuovo modello".
L'ultima occasione di finanziamento di un programma straordinario di investimenti in edilizia e tecnologie sanitarie risale a più di 30 anni fa con l'art. 20 della Legge 67/1988, con uno stanziamento iniziale, solo da parte dello Stato, pari a ben 15,5 miliardi di euro (i 30mila miliardi di lire). Oggi il fabbisogno iniziale di risorse stimato dal ministero della Salute per gli interventi di edilizia sanitaria in vista della prima stesura del recovery ammontava a 34,4miliardi, di cui 14 miliardi per adeguamenti sismici e antincendio. Invece il Recovery Plan poi approvato dal Cdm assegna per la sicurezza degli ospedali 5,6 miliardi per realizzare 675 interventi di antisismica entro il 2026.
Per il rafforzamento dei servizi territoriali e per una migliore presa in carico delle persone con fragilità (cronicità, non autosufficienza, disabilità...) vengono destinati, attraverso il Recovery Plan, 7,9 miliardi in 6 anni, di cui circa 1 miliardo all'assistenza domiciliare. Una cifra insufficiente a coprire gli oltre 17 miliardi l'anno di spesa privata delle famiglie per l'assistenza sanitaria a lungo termine, assistenza domiciliare e assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione, certificata dalla Corte dei conti.
A rendere il quadro ancora più serio, secondo l'associazione, è il combinato disposto con la Legge di Bilancio 2021: infatti, se nel 2022 l'incremento del finanziamento del Ssn è pari a 822,870 milioni di euro, già nel 2023, 2024 e 2025 questo si riduce a 527,070 milioni per ciascuno degli anni, mentre a decorrere dal 2026 è pari a 417,870 milioni l'anno. Dal 2023 sale nuovamente in cattedra la razionalizzazione della spesa (spending review- comma 404 L. 178/2020), che negli anni passati è stata confusa e declinata con un vero e proprio razionamento della spesa, dei servizi sanitari e dei diritti dei pazienti. E anche grazie a questo il Ssn si è presentato alla sfida con la pandemia da Covid-19 impreparato, con i fondamentali non in ordine, con pazienti non-Covid costretti a diventare gli esodati del Ssn e con numero di decessi di pazienti Covid purtroppo tra i più alti in assoluto.
Nel Report si sottolinea che il Ssn è arrivato alla prova con Covid-19, dopo 10 anni "da bancomat per Stato e Regioni". E i dati indicano che: l'Italia è tra i Paesi con più alto tasso di mortalità per Covid-19: 107,5 decessi per 100mila abitanti (dato relativo a dicembre 2020); durante il primo lockdown il Ssn ha fortemente ridotto l'assistenza ai pazienti non Covid: -34 milioni di ricette rispetto al 2019 (-58%); -13,3 milioni di prestazioni per accertamenti diagnostici; -9,6 milioni di visite specialistiche; -40% di ricoveri; negli ultimi 8 anni, dal 2010 al 2018, il personale sanitario è calato per colpa dei blocchi del turn over legati alla spending review di oltre 42mila unità e in particolare ci sono in meno più di 5.500 medici e quasi 8mila infermieri, le due figure che di più sono coinvolte nell'Adi.
"Maggiori risorse per il Ssn, orientate a garantire la sicurezza di tutte le strutture sanitarie, un maggiore accesso alle cure, il rafforzamento e l'innovazione dei servizi sociosanitari territoriali, l'ammodernamento tecnologico, il rafforzamento del personale sanitario e la riduzione delle disuguaglianze - conclude Aceti - per noi rappresentano 'debito buono' e un investimento ad 'alto rendimento' per il Paese in termini di salute, coesione sociale e crescita economica. Le future generazioni hanno diritto a un Ssn più forte, moderno, accessibile, equo, solidale e di prossimità, in grado di entrare nelle case delle persone. Non sprechiamo questa occasione che l'Europa ci mette a disposizione".
Ultimo aggiornamento: 01 Febbraio 2021
5 minuti di lettura

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