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Diagnosi precoce dell'autismo con la risonanza magnetica funzionale

Diagnosi precoce dell'autismo con la risonanza magnetica funzionale

La risonanza magnetica funzionale condotta su neonati di sei mesi sarebbe in grado di indicare chi è più a rischio di soffrire di autismo.
In questo articolo:

“Più sono le cose che conosciamo sul cervello del bambino prima che compaiano i sintomi, più saremo preparati ad aiutare sia i bambini sia le loro famiglie”. Parole di Joseph Piven, docente di Psichiatria all’università della Carolina del Nord, negli Stati Uniti, e negli ultimi anni autore di una serie di studi il cui esito si è rivelato sorprendente: la risonanza magnetica funzionale condotta su neonati di sei mesi ad elevato rischio di autismo sarebbe in grado di indicare, con precisione, chi tra loro presenterà una sindrome dello spettro autistico entro i due anni d’età.

I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine, sono importanti per la diagnosi precoce dell’autismo, una condizione che inizia a manifestarsi clinicamente verso i due anni d’età - attraverso comportamenti ripetitivi e problemi sociali - ma, in genere, non viene diagnosticata prima dei quattro anni. Conoscere in anticipo quali bambini svilupperanno l’autismo permetterà ai medici di intraprendere una terapia comportamentale precoce.

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L'autismo e i disturbi dello spettro autistico sono caratterizzati dall'incapacità di comunicare e sviluppare relazioni sociali.

Esaminati neonati ad alto rischio di autismo

Lo studio è stato condotto su 59 bambini di 6 mesi d’età, tutti con un fratello oppure una sorella più grandi autistici. Questi bambini hanno un rischio 20 volte superiore di sviluppare, a loro volta, una condizione dello spettro autistico rispetto alla popolazione generale. Gli esiti dell’indagine attestano, appunto, che la risonanza magnetica funzionale (particolarmente costosa, ma l’obiettivo è quello di poter ricorrere in futuro a metodi meno gravosi, come l’elettroencefalografia e la spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso) è in grado di prevedere la comparsa di questa condizione con un’accuratezza del 97%.

In particolare, quando i bambini studiati con questa tecnica sono arrivati all’età di due anni, è stato chiesto ai genitori di compilare un test in merito alla presenza o meno di comportamenti ripetitivi; allo stesso tempo, i ricercatori hanno valutato le abilità di linguaggio e motorie dei bambini, oltre ai loro comportamenti sociali e di comunicazione. Si sono ammalati 11 bambini del campione i quali, rispetto agli altri, già a sei mesi manifestavano numerose differenze nelle connessioni nervose tra 230 aree neurali studiate attraverso la risonanza, soprattutto tra aree con una funzione implicata nella malattia (dal linguaggio alla socialità fino ai comportamenti ripetitivi).

L’importanza di svolgere un’indagine precoce

Il team di ricercatori condotto da Piven spera di creare un test multiplo fondato sulla risonanza magnetica e su una serie di altri esami da sottoporre bebè a rischio (provenienti da famiglie con casi di autismo), per comprendere se saranno affetti o meno dal disturbo in futuro.
Il passo successivo consisterà sia nel comprendere l’impatto di queste connessioni alterate nell’ambito dello sviluppo cerebrale precoce sia nell’affinare le capacità predittive di questo test. Spiegano i ricercatori: “Sarà importante riuscire a prevedere quali bambini incontreranno le maggiori difficoltà oppure la tipologia di difficoltà che richiederà un intervento precoce”.

Ultimo aggiornamento: 13 Giugno 2017
3 minuti di lettura

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