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Esperto Risponde

Ho 42 anni. dall'età di 15 soffro di tachiardia

Ho 42 anni. Dall'età di 15 soffro di tachiardia parossistica sopraventricolare (a complessi larghi). Il primo episodio è durato per circa 2 giorni (poiché non riuscivo a comprendere la ragione del mio malessere) ed è stato risolto con un endovena di verapamil e la frequenza, al momento del ricovero, era di circa 200 bpm. Per alcuni anni sono stato sottoposto a ad una terapia con tre pasticche di isoptin 80 al giorno senza che tuttavia ciò evitasse l'insorgenza di 5/6 crisi l'anno. A seguito di una visita presso un centro specialistico a Trento nel 1986 (se non ricordo male c'era il Prof. Furlanello), ho smesso la terapia con l'indicazione di assumere 2 pasticche Isoptin 80 al momento della crisi ed un'altra dopo un'ora nel caso la stessa non fosse stata superata. Da allora ho sempre seguito questa metodica riuscendo a interrompere le crisi sempre entro max due ore, e comunque, nella stragrande maggioranza dei casi, entro la prima ora (senza assumere cioè la terza pillola). La frequenza degli episodi e la sintomatologia in occasione degli stessi è mutata nel corso degli anni. Non ho mai superato i 5/6 episodi l'anno ed in una occasione, intorno ai 20 anni, non si sono presentati per due/tre anni consecutivi. Debbo dire che in passato sostenevo molto bene queste tachicardie, negli ultimi anni lasciano invece degli strascichi un pochettino più fastidiosi con mal di testa e spossatezza, più il giorno seguente che il giorno stesso. Comunque questi effetti passano completamente nel giro di 24/48 ore. Negli ultimi 10 anni le crisi si verificavano quasi esclusivamente la notte nel sonno ed in pieno riposo. Le più recenti (dalle 2/3 l'anno degli anni precedenti alle 5/6 degli ultimi 2 anni)le ho avute sempre la mattina in fase di risveglio e comunque sempre in posizione distesa. Tutti gli accertamenti e gli esami effettuati nel corso degli anni (Ecg anche sotto sforzo, Eco, holter, esami del sangue compresa tiroide) hanno sempre dato esito negativo. Non ho mai eseguito un esame elettrofisiologico. Nell'ultimo anno soffro di un ciclico dolore toracico con particolare localizzazione alla base della cassa toracica sul lato anteriore-sinistro. Ho eseguito una rettoscopia con esito negativo. Faccio presente che sono un avvocato che è costretto a viaggiare molto per lavoro e che indubbiamente sente il peso psicologico di questa spada di damocle che può cadere addosso in qualsiasi momento (anche se solo una volta in 20 anni ho dovuto interrompere una udienza per una tachicardia). Premetto anche di avere una naturale avversione a terapie a tempo indefinito (retaggio forse della mia esperienza adolescenziale con l'isoptin). Vengo alle domande. 1) In una situazione come la mia ritenete opportuna una ablazione anche in considerazione dei rischi che si possono correre (e che un po' emergono anche dalla lettura degli inteventi su questo argomento) come quello magari di avere più extrasistole (nell'ultimo controllo Holter ne hanno riscontrate solo due nell'arco della giornata), per non parlare del PM che comunque credo sia una ipotesi remota ed in qualche modo un rischio prevedibile nel caso concreto? 2) L'ernia iatale, per cui sto facendo accertamenti, può scatenare la tachicardia sopprattutto in posizione distesa? E in caso di diagnosi positiva di ernia iatale e di collegamento causale con lo scatenarsi, di crisi come conviene muoversi? Curare l'ernia anche chirurgicamente o procedere con ablazione per risolvere il problema cardiaco? 3) Come si evolvono queste tachicardie col passare degli anni? Possono risolversi da sole o tendono ad aggravarsi? Se dovessero sopraggiungere altre problematiche cardiache con l'età (penso ad un infarto, ma potrebbe essere qualsiasi altra cosa) potrebbero diventare pericolose? Si potrebbe intervenire comunque con l'ablazione? 4) l'ablazione: come funziona? Viene indotta una tachicardia e si interrompe chirurgicamente? Che periodo di tempo di convalescenza richiede? Che tipo di controlli si debbono fare a seguito dell'intervento e per quanto tempo? Quanto tempo deve passare per capire se l'intervento ha dato gli effetti sperati? Si è mai verificato alcun caso di decesso del paziente? Che percentuali di successo totale ci sono (per successo totale non intendo soltanto la scomparsa delle tachicardie, ma anche la non insorgenza di altre problematiche diverse a seguito dell'intervento)? Mi scuso della particolare prolissità, ma questo disturbo mi accompagna da 27 anni e, pur non essendoci per nulla affezionato, l'argomento mi stimola sempre. Cordialità
Risposta del medico
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posso rispondere sinteticamente, perché è uno di quei casi (non frequenti) in cui la decisione a favore dell’ablazione mi sembra chiara, e sono anzi stupito che non sia stata ancora eseguita. 1) la prima risposta è quindi SI, l’indicazione per l’ablazione è chiara, ed i potenziali rischi (che pure esistono) sono minori; 2) l’ernia iatale può anche essere un “grilletto!” per innescare l’aritmia, ma il problema vero è il substrato elettrofisiologo che rende possibile l’aritmia stessa; 3) è molto improbabile che gli episodi tendano a ridursi con il tempo; ad una età più avanzata gli episodi diventeranno verosimilmente meno tollerabili, tanto più se dovessero insorgere altrin problemi cardiaci “indipendenti”, come quelli coronarici; 4) l’ablazione si fa utilizzando la radiofrequenza; è una procedura interventistica (quindi non chirurgica) che richiede di solito una degenza breve (due-tre giorni); i controlli successivi sono quelli clinici semplici (ECG, Holter); gli effetti sono immediati. Per quanto riguarda i rischi (inclusa la necessità del pacemaker) sono limitati in Centri esperti; per questo tipo di aritmia molti Centri possono ormai considerarsi esperti. Ovviamente i rischi esistono ed esisteranno sempre; ma altrettanto ovviamente non esistono in Medicina procedure senza rischi.
Risposto il: 22 Dicembre 2008