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Trapianto da vivente

Solitamente riservato ai bambini, il trapianto di organi da un donatore vivente è un atto volontario e presenta numerosi vantaggi.

 

 

Sebbene la maggior parte degli organi da trapiantare provenga da donatori cadavere (fa eccezione il Trapianto di midollo osseo, per il quale è necessario un Donatore vivente e sano), negli ultimi anni è possibile prelevare organi da donatori viventi nel caso di trapianto di Rene, polmone, fegato o pancreas.
Solitamente questo tipo di trapianto viene riservato ai bambini, poiché, tranne che nel caso del rene, si tratta di prelevare soltanto una parte dell’organo, che potrebbe rivelarsi insufficiente per un adulto ma si adatterebbe benissimo alle dimensioni corporee di un bambino.

Il prelievo di organi da vivente è un atto volontario, attuato senza nessuna costrizione e soprattutto senza nessun compenso. Per questo motivo solitamente si preferisce effettuare il trapianto da vivente tra componenti dello stesso nucleo familiare. Si tratta di un modo per essere certi che non ci sia scopo di lucro nella donazione stessa.

Il trapianto da vivente ha numerosi vantaggi. Primo fra tutti, può essere pianificato, evitando così al ricevente l’ ansia dell’attesa; inoltre, potendo pianificare l’intervento, è possibile accertare con sicurezza il momento migliore, in cui il paziente ed il donatore sono al meglio della forma fisica. Con un donatore cadavere questo non è possibile, poiché la disponibilità dell’organo è improvvisa, quindi tutto va effettuato nel momento in cui il donatore si rende disponibile, ed anche le condizioni di salute del donatore possono essere state modificate dalla terapia intensiva a cui è stato sottoposto in ospedale.

Anche le condizioni del ricevente possono essere migliori con un donatore vivente; infatti, potendo pianificare il trapianto, i piccoli interventi che vengono rimandati al momento del trapianto per non operare più volte il paziente, possono essere dilazionati nel tempo e seguiti in maniera più adeguata.

Il trapianto da vivente, in ogni caso, non esclude questioni etiche o psicologiche che accompagnano le altre forme dello stesso intervento. Un esempio è rappresentato dal fatto che l’intervento sul donatore non è un trattamento curativo, bensì un potenziale rischio per lo sviluppo di problemi futuri (non è detto che ce ne siano, però). Questo è in piena contraddizione ad uno dei principi fondamentali della pratica medica, cioè quello di non arrecare mai alcun danno al paziente.

Un’altra questione delicata è di origine psicologica: se è giusto, da una parte, dare ai familiari la possibilità di poter donare un organo, o parte di esso, per salvare un congiunto, è anche da tener presente che probabilmente qualcuno di essi si sentirebbe “obbligato” a donare senza in realtà volerlo fare davvero.

Ultimo aggiornamento: 19 Marzo 2015
3 minuti di lettura

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