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Birra: ingredienti e produzione di un'antica bevanda

Birra: ingredienti e produzione di un'antica bevanda

Quali sono le materie prime della birra? E in che cosa consiste la birrificazione?
In questo articolo:

Le origini della birra 

Le origini della birra si confondono coi primordi delle prime civiltà umane, e del resto ogni sostanza che contenga carboidrati come zucchero e amido può andare naturalmente incontro a fermentazione: in tale ottica è probabile che bevande simili alla birra siano state inventate in civiltà diverse e diverse parti della superficie terrestre, in modo completamente indipendente l’una dall’altra.

Gli ingredienti della birra

Quali sono le materie prime della birra? Acqua e farina: le stesse del pane, ma a proporzioni invertite. Utilizzando un quantitativo di farina di gran lunga superiore rispetto all’acqua, a fermentazione avvenuta, si ottiene il pane; al contrario, invertendo le proporzioni e cioè utilizzando più acqua che farina, sempre in seguito a fermentazione, si ha la birra.
Alla base di tutto c’è dunque l’uso dei cereali, dall’orzo al frumento, al riso, al mais e il lievito.

Il lievito

La fermentazione della birra non potrebbe aver luogo se non esistesse un elemento che agisce in funzione di catalizzatore: il lievito. Esistono due grandi ceppi di lievito:

  • Saccharomyces Cervisiae, scoperto da Pasteur nel 1852. Agisce alle temperature comprese fra i 12 e i 24 ° C ed è usato per le birre tradizionali ad alta fermentazione genericamente dette 'ale', le quali in origine non contenevano luppolo o altri aromi, e oggi, pur luppolate continuano a mantenere talune loro specifiche peculiarità: sono birre ad alta fermentazione e di solito sono più corpose ed alcoliche delle normali 'lager'. Anzi in alcuni Stati degli U.S.A. la birra del tipo ale corrisponde a una categoria merceologica di birre che, superando una certa gradazione alcolica, non possono più essere considerate 'beer'. Noto inoltre come Lievito di Birra, trova il suo impiego anche nella preparazione di pane, pizze e dolci.
  • Saccharomyces Carlsbergis, così detto in omaggio al danese Jacob Christian Jacobsen, grande studioso di microbiologia, fu scoperto quasi involontariamente dai birrai del Sud della Germania che mettevano le loro birre a maturare nelle grotte delle Alpi; anche questo, come il precedente, è un lievito prodotto in coltura e, aggiunto in corso di preparazione, agisce alle temperature comprese fra i 7 ed i 13° C. È largamente usato per le birre a bassa fermentazione, oggi le più diffuse, dette genericamente "lager", dal verbo germanico lagern: immagazzinare, conservare. Tali birre sono depositate a maturare in celle di refrigerazione che segnano persino 0°C, ove acquisiscono un contenuto di Anidride carbonica alquanto elevato. Trattasi di una categoria di birre abbastanza vasta, nella quale si ritrova una gran varietà di prodotti che vanno dall’amaro al dolce, dal colore molto chiaro al molto scuro.

Fra le due tipologie precedenti non mancano poi le birre ibride, così denominate perché nella loro preparazione sono stati adoperati ingredienti e/o tecniche provenienti dalle "ale" o dalle "lager".

Descrizione a parte meritano le birre a fermentazione spontanea, così dette perché durante la loro fermentazione, al posto di lieviti coltivati sono stati adoperati quelli naturali, presenti numerosi in natura, fra i quali il Lactobacillus che produce acido lattico, e il Brettanomyces che produce acido acetico. Tali birre sono dunque acide per definizione e necessitano di un lungo processo di lavorazione inteso ad abbassare il grado di acidità. Sono generalmente definite "lambic", come l’omonima belga; la loro caratteristica è costituita da gusto secco e retrogusto acidulo.

L’acqua

La birra è composta dall’85 al 92% di acqua. Tra i minerali dell’acqua quelli che interessano maggiormente l’industria birraia sono il calcio, i solfati e i cloruri. Il calcio infatti favorisce la separazione del malto e del luppolo nelle fasi di macerazione e cottura ed inoltre scurisce la birra dandole opacità e morbidezza; il rame, il manganese e lo zinco inibiscono la flocculazione dei lieviti; i solfati rinforzano l’amarezza e la secchezza del luppolo; i cloruri infine conferiscono una tessitura più piena e rinforzano la dolcezza.
Ogni tipo di birra richiede una qualità differente di acqua: per alcune si rende necessaria un’acqua poco mineralizzata, per altre acque più dure e con poco calcare.
Ecco perché, anche se l’acqua è la materia prima disponibile con maggiore abbondanza, non per questo è l’ingrediente più facile per la birrificazione, poiché, se una birra è buona, deve questa sua caratteristica soprattutto all’acqua che, pertanto, deve essere dotata di qualità particolari.
E questo è il motivo per cui oggi nessuna birra è prodotta con acqua così come essa sgorga dal rubinetto, ma la stessa viene trattata nel birrificio in modo da avere sempre le stesse caratteristiche rispondenti alla ricetta del prodotto.
Quattro sono fondamentalmente le tecniche per il trattamento:

  1. per aggiunta
  2. per eliminazione
  3. per modificazione
  4. per demineralizzazione

Quest’ultimo è il metodo più moderno e consiste nel sottrarre i minerali per mezzo di sofisticati filtri chimici, per poi reinserire nell’acqua i sali minerali unicamente nella proporzione desiderata. In base agli impianti attualmente in uso, per ogni ettolitro di birra prodotta occorre lavorare tre ettolitri di acqua.

I cereali

La birra si può fare con qualunque tipo di cereale purché quest’ultimo venga lavorato in modo che i suoi Zuccheri diventino fermentabili.
Fin dall’antichità il cereale più usato nella birrificazione, per la sua adattabilità climatica quasi universale, è stato l’orzo, che oggi viene preferito dagli operatori anche perché il chicco è rivestito dalla glumella, una guaina aderente e compatta che lo protegge durante le varie manipolazioni a cui esso viene sottoposto.
Esistono tuttavia anche birre di mais, di frumento, di riso nonché di altre granaglie ancora, solitamente in combinazione con l’orzo. In Africa la birra si ottiene dalla radice di manioca o dal miglio o dal sorgo; in Brasile dalle patate; in Messico dall’agave: ogni popolo fa tesoro delle risorse di cui dispone.

Il malto

Fra i cereali adoperati per la produzione della birra per alcuni come per il mais può essere necessaria una semplice cottura mentre l’orzo è l’unico a dover essere necessariamente maltato: gli zuccheri contenuti nei chicchi, infatti, non sono immediatamente accessibili ma è necessario attivare l’enzima presente nell’embrione che parteciperà alla lunga catena degli zuccheri.
Il malto è la cariosside, cioè il frutto secco composto da un unico seme tipico delle graminacee, che ha subito la germinazione ottenuta per mezzo del processo di lavorazione detto maltazione.
Tale processo, finalizzato alla produzione della birra, non si limita in verità solo all’orzo ma si usa anche il malto di frumento, di avena, di mais e di altri cereali ancora e si articola su tre fasi di lavorazione:

  • macerazione
  • germinazione
  • torrefazione.

Inizialmente si macera il cereale in acqua per permettere lo sviluppo degli enzimi atti a trasformare l’amido in zuccheri solubili. Quando, a giudizio degli operatori, l’attivazione enzimatica è giunta allo stato ottimale, il processo viene interrotto riducendo l’umidità nei chicchi fino al valore minimo.
A questo punto si ha il "malto acerbo", che bisogna cuocere. Alle temperature più basse si ottiene il minimo effetto della tostatura e si hanno i "malti chiari", detti pale o anche lager, in base al paese di produzione. In rapporto all’aumento della temperatura, i malti diventano più scuri, fino ad arrivare ai "malti neri", cioè a quelli bruciati: dal grado di tostatura dipende il colore della birra.
È bene precisare, tuttavia, che i mastri birrai, nella produzione della birra, preparando i mosti, molto spesso utilizzano delle miscele che possono essere composte da un sol tipo di malto, o da una miscela di malti oppure ancora da malti e grano duro. È chiaro che i componenti di tali miscele e le proporzioni esistenti fra gli stessi sono fondamentali nella scelta e nel tipo di birra che si va a produrre: i diversi cereali utilizzati infatti presentano ognuno una serie di varietà botaniche incrementando quindi le scelte dei birrai.
Oggi offerta sul mercato c’è una notevole offerta di grani diversi, che danno luogo a malti diversi, senza neppure tener conto di ulteriori malti artigianali o caserecci. Di base dunque i cereali si possono dividere in quattro categorie:

  • malti di base: rappresentano la gran parte, se non la totalità della miscela; sono chiari, poco cotti, con grande potere enzimatico; in base alla nazione e al produttore sono detti comunemente lager, pale o anche pils;
  • malti additivi: sono di un colore che va dall’ambrato al nero; essendo stati cotti parecchio, hanno perso il loro potere enzimatico; di solito vengono usati in piccole quantità allo scopo di influire sul gusto e sul colore della birra;
  • malti misti: trattasi di malti di color caramello o ambrati che, pur essendo stati tostati di più rispetto ai malti di base, mantengono le loro proprietà enzimatiche per cui sono usati come base e come additivi; rientrano in questa categoria i malti  inglesi detti 'crystal';
  • cereali crudi, tostati o in gelatina: sono utilizzati in modeste quantità per conferire alla birra gusto, aroma ed altre caratteristiche, senza che prima siano stati maltati.

Ed ecco qui di seguito elencate le più diffuse ed utilizzate tipologie di malto:

  • malto Pils: morbido e dolce;
  • malto di Vienna: per le birre Lager;
  • malto di Monaco: aromatico e deciso;
  • malto Caramello: già citato: molto diffuso, dal colore che va dal caramello all’ambrato;
  • malto Crystal: il già citato e rinomato inglese  utilizzato per le Ale;
  • malto Chocolate: di colore scuro per l’alta temperatura di torrefazione, riservato alle Stout;
  • malto di Avena: aggiunto spesso per la produzione delle Stout;
  • malto Smoked: essiccato all’aria o al fumo del fuoco sulla legna;
  • malto di Frumento: di aroma speziato, riservato alle Weiss;
  • malto di Segala: per dare un gusto leggermente amaro e speziato.

Il luppolo

Oggi l’ingrediente più usato per compensare la dolcezza del malto è il luppolo, una pianta rampicante dioica, nella quale cioè i fiori maschili e quelli femminili si sviluppano su piante diverse.
I tipi di luppolo infatti sono vari, per cui essi vengono classificati nelle seguenti categorie:

  • luppoli amari o bitter, contenenti più acidi amari (acidi alfa) che aromatizzanti (oli eterici); di questa categoria i più conosciuti sono: il Brewer’s  Gold ed il Northern Brewer, altrimenti detto Nordbrauer, il Premiant, il Target, il Pride of Ringwood, il Galena, il Nugget;
  • luppoli aromatici, nei quali gli elementi sono più aromatici che amari; in questa categoria spiccano il Saaz che caratterizza lo stile pilsner, il Perle, lo Spalter ed il Tettnang in area germanica, i Golding: First Gold ed East Kent Golding nonché i Fuggler in area anglofoba ed ancora il Select ed il Lublin;
  • luppoli misti, una categoria molto variabile e non ben definita, che presenta entrambe le caratteristiche sopra descritte; tra questi vanno segnalati l’Hallertau e relativi derivati botanici, l’Hersbrucker e relativi derivati.

Scendendo nel dettaglio i componenti del luppolo più importanti ai fini della lavorazione sono essenzialmente tre: i tannini, gli oli, gli acidi amari.
Tannino e resine rendono possibile la schiuma che si sviluppa nella birra all’atto della spillatura. Gli acidi amari conferiscono alla birra l’inconfondibile sapore amarognolo che la connota per cui risulta evidente che maggiore è la luppolatura, più amarognolo sarà il gusto della birra; gli acidi inoltre sono potenti antisettici e conservanti per cui la birra luppolata è più stabile che con altri ingredienti aromatizzanti. Ed infine è proprio il luppolo la causa della stimolazione dell’appetito prodotto dalla birra.
Il dosaggio varia da 140 a 400 gr. per ettolitro in funzione del tipo di birra da produrre, garantendo al prodotto finito il sapore caratteristico leggermente amaro, favorendo nel contempo la tenuta della schiuma e, come già detto, la naturale conservazione della birra.

Altri ingredienti aromatizzanti

Oltre al luppolo, o al posto dello stesso, storicamente sono stati usati molti altri additivi botanici per la birra e anche se l’utilizzo di tanti agenti aromatizzanti nell’immaginario comune veniva visto come il tentativo fatto in extremis di coprire eventuali piccoli difetti del prodotto, da vari anni a oggi l’utilizzo di tali ingredienti è ormai diventato una questione di stile.
Come aromatizzanti si usano frutta, piante, spezie e quanto altro ancora:

  • Frutta: dalla fermentazione della frutta si ottiene il vino; oggi tuttavia nel processo produttivo di molte birre, prima della fermentazione, si aggiunge frutta o succo di frutta o sciroppo: si ottiene in tal modo una ulteriore aggiunta di zuccheri che provocano una seconda fermentazione. Da tempo sono affermate le tipologie dalla birra alla ciliegia oppure al lampone; di più recente introduzione sul mercato sono invece le birre al kiwi, all’albicocca, alla banana: specialità tipiche e quasi esclusive della Valle della Senna e del Belgio.
  • Piante: sono offerte in commercio altre birre aromatizzate con altri tipi di piante come la canapa, il rosmarino, le castagne, il tabacco, oltre al luppolo o in luogo dello stesso.
  • Spezie: prima che fosse utilizzato su larga scala il luppolo per aromatizzare la birra erano molto usate le spezie; oggi rimangono le birre aromatizzate allo zenzero, al coriandolo, alle bucce di arancia, al pepe e alla noce moscata.

In ordine di tempo gli ultimi esperimenti di alcuni produttori sono la birra al miele, tipica di alcuni microbirrifici francesi nonché la birra aromatizzata al vino.

Il processo produttivo della birra  

Il processo produttivo della birra, detto anche “birrificazione” o “brassaggio” si articola su varie fasi di lavorazione la prima delle quali è la maltificazione: l’orzo o gli altri cereali, dopo essere stati selezionati e puliti, sono immessi nelle vasche di macerazione, dove ricevono acqua e Ossigeno necessario alla germinazione. Questa fase dura tre o quattro giorni nel corso dei quali l’acqua, mantenuta costantemente intorno ai 12-15 gradi, viene continuamente cambiata. Quando ha raggiunto il grado di umidità sufficiente, l’orzo è messo a germinare in cassoni di germinazione sistemati in locali molto ben aerati.
Tale processo viene fermato a mezzo di essiccazione o di torrefazione dopo circa una settimana, quando il germoglio ha raggiunto la lunghezza dei 2/3 del chicco.
Il cereale maltato viene quindi macinato fino a ottenere una specie di farina e mescolato con acqua tiepida, che viene successivamente riscaldata fino a raggiungere i 65-68 °C.
Questa fase è detta ammostatura in quanto il malto si trasforma in mosto: ciò avviene quando l’amido ancora presente nel malto si trasforma in uno zuccherodetto maltosio. La massa, mantenuta in agitazione, viene portata con opportune soste alle temperature ottimali per l’attività enzimatica di degradazione di amido e proteine, favorendone in tal modo la solubilizzazione nel mosto.
Quest’ultimo, depurato delle sue componenti insolubili, le trebbie, in base al tipo e alla qualità di birra che si va a produrre, viene bollito per un periodo di tempo non inferiore ad un’ora e non superiore a due ore e mezza in una delle classiche caldaie, tradizionalmente di rame. Questa è la fase della cottura, che nei moderni impianti avviene per getti di acqua bollente ad alta pressione, causando sia la concentrazione sia la sterilizzazione del mosto; e fra tanto progresso tecnologico, vi sono ancora delle birrerie che per la bollitura si servono del fuoco diretto.
E questo è anche il momento in cui viene aggiunto il luppolo, che conferisce il classico sapore amarognolo ed il suo inconfondibile profumo. In tutta questa fase è estremamente importante la temperatura a cui il mosto viene sottoposto poiché gran parte delle sue trasformazioni biochimiche dipendono da essa.
Nel corso della bollitura infatti, in seguito a reazioni tra i polifenoli del malto e del luppolo e le proteine del malto, si formano dei complessi insolubili costituenti il trub a caldo che tende a precipitare al termine del processo ed il cui allontanamento è ritenuto fondamentale per la qualità e la stabilità della futura birra.
Tale azione è effettuata per mezzo del whirlpool, un tino nel quale il mosto arriva tangenzialmente generando una forza centrifuga atta a determinare la raccolta della fase torbida sul fondo, al centro del recipiente, permettendo la separazione della fase liquida limpida.
Il mosto viene successivamente raffreddato fino a raggiungere le temperature adatte alla fermentazione: dai 4 ai 6 °C per la bassa fermentazione, dai 15 ai 20°C per quella alta: tale momento della lavorazione può svolgersi solo in condizioni di aerobiosi, per cui viene insufflato ossigeno nel mosto.
La fermentazione vera e propria si articola in due momenti: la principale e la secondaria, detta anche maturazione. La prima, la fermentazione principale, ha per protagonista assoluto il lievito che, immesso nel mosto in base al tipo di birra che si va a produrre, trasforma gli zuccheri e gli aminoacidi presenti in alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. La fermentazione secondaria, detta anche maturazione, consiste nel lasciare la birra 'giovane' in grandi vasche di maturazione, che poi sono tini di grandi dimensioni, di solito costruiti in acciaio, alla temperatura compresa fra lo 0 e i 2°C per circa quattro o cinque settimane, che per determinate tipologie di birra molto pregiata possono arrivare anche ad alcuni mesi. In questo periodo si depositano i residui di lievito, la birra si satura di anidride carbonica ed acquisisce il suo gusto definitivo poiché i suoi ingredienti, essendosi armonizzati, raggiungono il miglior equilibrio di sapori.
Ed eccoci alla pastorizzazione, alla quale vengono sottoposte tutte le birre
prodotte industrialmente, ma non può dirsi lo stesso per quelle artigianalmente prodotte; il procedimento consiste nel portare il prodotto fino alla temperatura di 60°C, sia per eliminare alcuni microrganismi in esso presenti, sia per una migliore conservazione.
Alla fine del processo la birra viene filtrata ed imbottigliata o travasata in appositi fusti.
Alcune varietà particolari, per aumentare il tasso alcolico, vengono fatte rifermentare una terza volta in bottiglia, nella quale, prima di chiudere il tappo, è stato immesso del lievito: è il caso di alcune "strong ale" a elevata gradazione alcolica e dal gusto deciso nonché delle birre di frumento della tradizione germanica.
Tanto premesso, prima di procedere all’esposizione del variegato mondo delle tipologie della birra e per una migliore conoscenza delle caratteristiche delle stesse, è opportuno illustrare almeno i parametri di comparazione, in base ai quali sono stabiliti i criteri di classificazione.

Ultimo aggiornamento: 15 Luglio 2021
18 minuti di lettura

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