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Antibiotico resistenza: come combattere i super batteri

Antibiotico resistenza: come combattere i super batteri

L'antibiotico resistenza, ovvero la resistenza dei batteri all'azione dei farmaci utilizzati, costituisce un grave problema purtroppo in costante aumento.
In questo articolo:

L'antibiotico resistenza, ovvero la resistenza da parte dei microorganismi patogeni all’azione dei farmaci utilizzati per combatterli, costituisce un problema gravissimo e, purtroppo, in costante aumento. Dopo la penicillina, scoperta da Fleming nel 1928, sono stati sintetizzate continuamente nuove molecole ad azione antibatterica, anti-fungina ed antivirale, nel tentativo di combattere sempre più efficacemente l’aggressione da parte dell’ultra-piccolo, che si fa sempre più agguerrito.

Come agiscono gli antibiotici

Il corpo umano possiede per costituzione meccanismi di difesa immunitaria decisamente efficaci, ma i batteri sono straordinariamente abili nel mutare le proprie caratteristiche e selezionare ceppi in grado di superare non solo le difese organiche ma anche di contrastare le armi che vengono messe a punto per combatterli.

Sostanzialmente, i meccanismi con cui gli antibiotici agiscono per distruggere gli agenti infettivi sono tre:

  • la capacità di penetrare all’interno delle cellule umane, dal momento che la maggior parte dei virus e batteri si annidano nel citoplasma cellulare;
  • la capacità di interagire con il metabolismo batterico, bloccandolo;
  • la capacità di sottrarsi all’azione inattivante di enzimi prodotti dai batteri stessi.

Che cos’è l’antibiotico resistenza?

Quando si parla di antibiotico resistenza (detta anche resistenza batterica) ci si riferisce alla messa in atto di procedimenti da parte dei batteri per contrastare una o più delle capacità antibiotiche suddette; tali meccanismi possono essere intrinseci a determinate specie batteriche o possono essere acquisiti mediante mutazioni del loro DNA, per cui la resistenza all’azione dell’antibiotico può essere una caratteristica innata del batterio o può essere creata dal contatto con l’antibiotico stesso.

Riguardo alla neutralizzazione della prima caratteristica dell’antibiotico, la capacità di penetrare all’interno della cellula batterica o virale, occorre notare che costituisce uno dei mezzi più frequenti utilizzati dai batteri per sottrarsi all’azione distruttiva dell’antibiotico: la membrana cellulare che riveste il batterio è porosa, ma la sua permeabilità può essere modificata e ridotta da parte del batterio stesso, in modo che l’antibiotico non riesce a penetrare all’interno della cellula patogena ed è quindi impossibilitato a distruggerla. Questo meccanismo è ad esempio innato dei batteri Gram negativi, che resistono alla penicillina, all’eritromicina e alla vancomicina, oppure negli streptococchi ed enterococchi, che resistono agli aminoglicosidi.
La diminuzione della permeabilità batterica può essere anche ottenuta “seduta stante”, mediante modificazioni stimolate dalla presenza in circolo dell’antibiotico: è il caso ad esempio di Pseudomonas Aeruginosa, che si “barrica” verso l’azione dell’imipenem con cui viene a contatto.

Sempre ad una sorta di difesa per “contrattacco” si rifanno certi batteri che mettono in atto il meccanismo dell’efflusso attivo, termine con cui si indica un “pompaggio” dell’antibiotico al di fuori della cellula batterica: esempio tipico, la resistenza dell’Escherichia Coli alle tetracicline.

La seconda strategia batterica messa in atto per resistere agli antibiotici consiste nel cambiamento del bersaglio: il batterio sostituisce il sito di attacco dell’antibiotico con un nuovo prodotto sintetizzato dei suoi geni, spostando di fatto l’azione del farmaco su un bersaglio non vitale. Gli Stafilococchi in questo meccanismo sono maestri, e neutralizzano in tal modo l’attacco da parte della penicillina e delle β-lattamine; assieme a loro, comunque, troviamo anche Streptococchi, Pnemococchi e Clostridi, tutti in grado di “ingannare” l’antibiotico.

La terza possibilità, probabilmente la più frequente ed importante, risiede nella capacità batterica di inattivare enzimaticamente l’antibiotico. L’esempio più comune è dato dalla produzione batterica di β-lattamasi, enzimi in grado di distruggere l’anello β-lattamico e vanificare in questo modo l’azione delle penicilline. La resistenza praticamente universale dello Stafilococco Aureo alla penicillina, all’ampicillina, alle carbossipenicilline e alle ureidopenicilline è dovuta proprio ad una β-lattamasi indotta e non costituzionale. Per contrastare questo meccanismo di resistenza la ricerca farmaceutica ha sintetizzato antibiotici che possiedono una minima attività antibatterica, ma in compenso si legano fortemente alle β-lattamasi, bloccandone l’azione: è il caso dell’acido clavulanico, che associato all’amoxicillina la rende efficace anche sullo Stafilococco Aureo. Nella grande famiglia delle β-lattamine (penicillina, ampicillina, amoxicillina, cefalosporine) solamente le cefalosporine di terza generazione presentano una inattaccabilità da parte delle β-lattamasi batteriche, ma purtroppo hanno anche una scarsa penetrazione intracellulare, per cui la loro efficacia è limitata.

Le cause dell’antibiotico resistenza

Quello della battaglia tra antibiotici e batteri è quindi uno scenario molto complesso e infido, che obbliga il medico curante a vagliare attentamente quali farmaci utilizzare in caso di infezioni, dal momento che se non si conosce il profilo di resistenza del microorganismo in causa non si riesce a combatterlo efficacemente. Ma le cause dell’aumento esponenziale delle resistenze batteriche non risiede solamente nell’abuso o nel cattivo uso degli antibiotici.

Le cause sono varie: indubbiamente l’iperprescrizione la fa da padrone, ma anche l’interruzione di una terapia antibiotica da parte del paziente perché clinicamente guarito, l’uso massiccio di antibiotici negli allevamenti intensivi di bestiame, pollame e prodotti ittici, la scarsa igiene personale e all’interno degli ospedali, la mancanza di nuovi antibiotici, più potenti e in grado di contrastare l’aggressione dei batteri più difficili da eradicare.

E i numeri parlano chiaro: in Europa e negli USA (dove la situazione sanitaria è sicuramente migliore che nei paesi sottosviluppati) ogni anno muoiono circa 25.000 persone a causa di infezioni batteriche non debellabili per la resistenza alle terapie.

Classificazione dei batteri resistenti agli antibiotici

Recentemente l’OMS ha redatto una lista dei batteri che maggiormente resistono all’azione degli antibiotici, classificandoli sulla base della pericolosità e del livello di resistenza. Lo scopo di questa pubblicazione è sostanzialmente quello di spingere la ricerca di nuovi antibiotici in grado di contrastare i batteri più tenaci: si tratta di 12 famiglie di batteri, suddivisi in tre categorie a seconda dell’urgenza della necessità di trovare il rimedio efficace.

Priorità fondamentale:

  1. Acinetobacter baumannii, resistente ai carbapenemi
  2. Pseudomonas aeruginosa, resistente ai carbapenemi
  3. Enterobacteriaceae, resistenti ai carbapenemi

Priorità elevata:

  1. Enterococcus faecium, resistente alla vancomicina
  2. Staphylococcus aureus, resistente alla meticillina e alla vancomicina
  3. Helicobacter pylori, resistente alla claritromicina (quindi da rivedere le linee-guida sull’eradicazione)
  4. Campylobacter, resistente ai fluorochinoloni
  5. Salmonellae, resistente ai fluorochinoloni
  6. Neisseria gonorrhoeae, resistente alle cefalosporine, resistente ai fluorochinoloni

Priorità media:

  1. Streptococcus pneumoniae, resistente alla penicillina
  2. Haemophilus influenzae, resistente all’ampicillina
  3. Shigella, resistente ai fluorochinoloni

Antibiotico-resistenza: cosa fare?

Che cosa si può fare quindi per evitare che la resistenza batterica crei una situazione di ingovernabilità delle infezioni? Si può fare molto, sia sul versante dei pazienti (rispettare sempre la durata prevista delle prescrizioni) sia su quello dei medici, anche se purtroppo svariati motivi, generalmente di ordine cautelativo, spingono spesso i medici a prescrivere antibiotici quando non indicati o a utilizzare molecole inappropriate.

Abbiamo detto che la resistenza può essere innata nel batterio, ma può anche essere indotta dal contatto con l’antibiotico stesso; su questo secondo aspetto si può intervenire sostanzialmente in due modi differenti: prescrivere antibiotici solamente se necessari e prescrivere antibiotici empiricamente adatti.

La prescrizione inutile (e purtroppo anche dannosa) di antibiotici costituisce una ferita sempre aperta nella classe medica: troppe volte si usa un antibiotico solamente perché il paziente ha segni di infezione, senza preoccuparsi dell’origine batterica o virale dell’infezione stessa. L’uso scellerato di antibiotici nelle virosi respiratorie acute ne è un esempio classico: l’influenza o le infezioni delle alte vie aeree, soprattutto in età pediatrica, sono malattie di origine virale nella quasi totalità dei casi, per cui la prescrizione di antibiotici viene effettuata solamente per un errato senso di “tranquillità” del paziente e/o del medico stesso. In realtà è un atto altamente dannoso, da evitare in modo assoluto, che induce resistenze e crea popolazioni batteriche sempre più agguerrite.

Se al contrario è assodata o comunque fortemente sospetta l’origine batterica di un’infezione, occorre chiedersi quale tipo di microorganismo possa essere responsabile e in tal caso effettuare la scelta empirica più corretta del farmaco. Il procedimento è empirico dal momento che l’identificazione del batterio sovente implica dei tempi di attesa inaccettabili, soprattutto in caso di infezioni con sintomatologia importante. Ma in base all’anamnesi, alla situazione socio-demografica, all’esame obiettivo accurato del paziente non è comunque impossibile formulare una diagnosi eziologica attendibile o probabile; in tal caso il ricorso ad un antibiotico selettivo e non ad ampio spettro risparmierà a noi e ai nostri figli delusioni e frustrazioni future.

Deve essere abbandonata senza remore l’idea errata che utilizzare un antibiotico ad ampio spettro di azione metta il paziente (e il medico) in sicurezza. In un recentissimo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association (Gerber JS et al. Association of broad- vs narrow-spectrum antibiotics with treatment failure, adverse events, and quality of life in children with acute respiratory tract infections. JAMA 2017 Dec 19; 318:2325) si è visto che il 35% dei bambini affetti da infezioni delle alte vie respiratorie, chiaramente di origine virale, sono stati trattati negli USA con antibiotici ad ambio spettro, non ottenendo esiti migliori in fatto di guarigione ma pagando il prezzo di maggiori effetti collaterali e minore qualità della vita.

Dobbiamo quindi vincere la lotta contro i batteri e solamente utilizzando armi efficaci riusciremo a raggiungere l’obiettivo: se spuntiamo le nostre frecce con le nostre mani magari vinceremo una battaglia ma perderemo sicuramente la guerra.

Ultimo aggiornamento: 29 Marzo 2024
10 minuti di lettura

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