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Trapianto di fegato, indicazioni e utilità

Il trapianto di fegato, effettuato per la prima volta negli Stati Uniti, si è affermato come unica terapia per le malattie epatiche croniche.
In questo articolo:

Trapianto di fegato: la storia

È trascorso più di mezzo secolo da quando, negli Stati Uniti Thomas Startzl effettuò il primo trapianto di fegato. Da allora sono stati compiuti progressi sostanziali, non solo in termini di affinamento delle tecniche chirurgiche ma anche e soprattutto in termini di trattamento del paziente nel post-trapianto. Infatti, il bagaglio di farmaci oggi a disposizione (ciclosporina, tacrolimus, ecc) è in grado di limitare notevolmente l'insorgenza del rigetto dell'organo trapiantato, evento quest'ultimo di tipo acuto o cronico che drammaticamente riduceva la sopravvivenza dei primi pazienti trapiantati.
Nuovi farmaci e nuove conoscenze contribuiscono inoltre sempre più a migliorare i risultati a distanza. Ad esempio, nei pazienti con cirrosi da Virus epatitici di tipo B e C, il controllo della reinfezione dell'organo trapiantato consente sopravvivenze medie progressivamente maggiori, e una sempre più larga fetta di pazienti trapiantati di fegato viene restituita completamente al suo ambiente affettivo e produttivo, ritornando a livelli di qualità della vita davvero ottimali.
Pertanto, nel corso di appena due decenni, il Trapianto di fegato, che sembrava essere un'opzione terapeutica ristretta a pochissimi eletti, ha visto ampliare le proprie indicazioni a macchia d'olio, e si è andato rapidamente affermando quale unica terapia per pazienti affetti da malattie epatiche croniche con funzione d'organo assai compromessa.

I primi trapianti di fegato in Italia risalgono agli inizi degli anni Ottanta, e da allora anche nel nostro Paese sono stati compiuti grandi passi avanti.
I Centri di trapianto autorizzati dal Ministero della Sanità sono sparsi un po' su tutto il territorio nazionale, sebbene risultino più concentrati nel Nord-Italia. Diverse sono anche le cosiddette Agenzie, che hanno il compito di smistare gli organi donati ai Centri che ad esse fanno riferimento.
Purtroppo, pur vantando i Centri italiani risultati sovrapponibili a quelli dei maggiori Centri europei in termini di sopravvivenza dei pazienti a cinque anni dall'intervento, è doveroso notare come la cronica carenza di donazioni ci releghi ancora miseramente agli ultimi posti in Europa per numero di trapianti/anno effettuati; ancor di più questa cronica carenza si fa sentire in alcune Regioni italiane (quelle del Centro-Sud) rispetto ad altre (ad es. Piemonte, Lombardia, Liguria) in cui una più capillare diffusione della cultura della donazione d'organo sta iniziando a produrre frutti tangibili.

Mentre da un lato si riduce così il ricorso a Centri esteri per il trapianto, rischia di acuirsi il fenomeno della migrazione interregionale, quasi parimenti dispendioso in termini socio-economici e affettivi. Dunque, la tappa che limita l'estendersi dell'attività trapiantologica non è più certamente quella della tecnica chirurgica o del controllo del rigetto, ma sicuramente la carente donazione di organi e le sue implicazioni etiche.
In tutto il mondo migliaia di pazienti, inseriti nelle liste di attesa cessano di vivere a causa dell'insorgere di complicanze della propria malattia prima di ricevere un organo.

La gestione della lista di attesa diviene allora un problema sempre più complesso: non si possono utilizzare male i pochi organi disponibili. Se può essere considerato problematico trapiantare un paziente troppo anziano, è altresì sicuramente uno spreco di organi trapiantare un paziente più giovane ma con malattia ancora controllabile. Si può ora comprendere come la carenza di organi influisca purtroppo in parte sulla selezione dei candidati al trapianto epatico.
Molti Centri stabiliscono la immissione dei pazienti nelle proprie liste in funzione dei tempi di attesa previsti, cercando di non superare gli otto-dodici mesi. I pazienti con Cirrosi epatica trovano indicazione al trapianto quando la funzione epatica e la qualità della vita sono ormai compromesse.
Vi è pressoché un unanime accordo, peraltro arbitrario, che il candidato al trapianto non debba superare il limite dei cinquantacinque/sessanta anni di età, sebbene siano possibili eccezioni in rapporto ad alcune variabili (condizioni generali, tipo di malattia, appartenenza a gruppo sanguigno più raro ecc).
 

Chi può ricevere il trapianto di fegato

Attualmente trovano indicazione al trapianto di fegato malattie quali le cirrosi da virus epatitico di tipo B, B+delta, C, la cirrosi alcolica, le malattie in cui si verifica una stasi cronica di bile nel fegato (colestatiche) quali la cirrosi biliare primitiva e la colangite sclerosante primitiva, forme più rare di cirrosi (Sindrome di Budd-Chiari, emocromatosi, morbo di Wilson ecc), le epatiti fulminanti (da farmaci, tossici e virus) ed infine l'epatocarcinoma con o senza cirrosi. Per questo ultimo gruppo di pazienti non si può generalizzare e va fatta una valutazione caso per caso. 

Le cirrosi da virus dell'epatite di tipo B e B+delta costituiscono ancora oggi (e lo saranno ancora per qualche anno, prima che la diffusione capillare della vaccinazione possa determinare la netta riduzione della malattia) una grossa fetta delle cirrosi che necessitano di trapianto. Grazie all'avvento di nuovi farmaci da usarsi nell'immediato periodo pretrapianto (inibitori della replicazione virale quali ad esempio la lamivudina) possono essere sottoposti all'intervento pazienti che fino a qualche anno fa non sarebbe stato possibile trapiantare a causa dell'altissima probabilità di gravi o mortali recidive d'infezione. L'uso delle immunoglobuline anti virus B ha ulteriormente ridotto le possibilità di reinfezione del nuovo fegato da parte del virus; ma, se ciò avvenisse, la stessa lamivudina potrebbe far sì che tali pazienti possano avere una remissione più o meno prolungata della reinfezione. Si riesce così a ottenere, a cinque anni dal trapianto, una sopravvivenza (liberi da malattia epatica) di circa il 60% dei pazienti trapiantati per cirrosi da virus B.
Attualmente circa un terzo dei pazienti che vanno al trapianto di fegato è affetto da cirrosi da virus C non più controllabile clinicamente. In questi pazienti si ha la reinfezione più o meno evidente sul piano clinico del fegato trapiantato in una percentuale vicina al 100%. Idonei accorgimenti terapeutici (ad esempio il parco uso di cortisonici, un cauto regime di immunosoppressione) e, laddove necessario e possibile, anche la terapia con interferone e Ribavirina, consentono tuttavia di raggiungere percentuali di sopravvivenza a cinque anni pari o superiori al 60%.

Non tutti i Centri sono concordi nel trapiantare pazienti affetti da cirrosi alcolica, e comunque c'è accordo unanime che la selezione di questi pazienti deve essere molto accurata. Prima di avviare il programma per l'inserimento in lista, è necessaria la completa sospensione dell'assunzione di alcool da almeno sei mesi, secondo alcuni meglio se tale periodo sia di un anno. Va tenuto presente che spesso l'astensione assoluta dall'introito di alcol porta a un discreto recupero della funzione epatica; di contro molte volte l'abuso etilico conduce a sofferenza irreversibile di altri organi ed apparati (cuore, sistema nervoso ecc) che, se presente, controindica l'esecuzione del trapianto stesso. Infine, e ciò è un evento non trascurabile, bisogna considerare la psicologia del paziente: una persona che beve alcolici può riprendere a bere dopo il trapianto, e inoltre può non fornire le sufficienti garanzie di seguire le necessarie terapie post-trapianto.
Per questo motivo è irrinunciabile il supporto di psicologi particolarmente addestrati a trattare questo tipo di paziente.

La cirrosi biliare primitiva e la colangite sclerosante consituiscono i prototipi delle malattie epatiche croniche colestatiche. Più ancora delle cirrosi virali, le forme colestatiche (ad esempio per la insorgenza di ittero-prurito incontrollabile) incidono moltissimo sulla qualità della vita del paziente, portando il clinico attento a considerare l'opzione trapianto quando ancora la funzione del fegato appare sufficiente (non va trascurato che in queste forme può aversi un deterioramento improvviso delle condizioni cliniche). Anche in questi casi va attentamente esclusa, prima del trapianto, la presenza di coinvolgimento di altri organi da parte della malattia di base. Per questi pazienti si riesce assai spesso ad ottenere nel post-trapianto il ripristino di una ottimale qualità di vita, con percentuali di sopravvivenza a cinque anni anche superiori all' 80%.

Per quanto riguarda l'indicazione al trapianto di fegato nei pazienti che, affetti da cirrosi, presentano quale complicanza il tumore del fegato (noto come epatocarcinoma), possono essere presi in considerazione solo coloro che hanno un unico nodulo tumorale epatico di dimensioni inferiori ai cinque centimetri, o fino a tre noduli di dimensioni però minori. Logicamente, vanno per ogni singolo caso e in base alla esperienza dei singoli Centri, prese in considerazione tutte le altre alternative terapeutiche chirurgiche o meno. In questi pazienti il programma di sorveglianza è alquanto diverso, la terapia immunosoppressiva va possibilmente mantenuta a livelli ridotti onde non favorire la recidiva tumorale (nonché quella virale).

Tra le malattie del fegato considerate rare, due in particolare possono richiedere, in alcuni casi, la repentina attuazione del programma di trapianto di fegato. Si tratta della sindrome di Budd-Chiari e ancor di più delle epatiti fulminanti a genesi virale, tossica o da farmaci. In questi casi, quando il clinico si rende conto che la acuta compromissione della funzione dell'organo sta mettendo a rischio la vita del paziente, l'opzione trapianto rimane l'unica possibile.

Per inciso, va accennato che sono in corso studi per la messa a punto di fegati bioartificiali che possano fungere da supporto a quello malato, in attesa che le grandi capacità rigenerative del fegato riparino il danno e quindi rendano il trapianto non più necessario o che si renda disponibile un organo per il trapianto.
 

Indicazioni al trapianto di fegato

  • Cirrosi epatica da causa virale (virus epatitici tipo B, C, D);
  • cirrosi da alcol;
  • cirrosi da stasi biliare cronica (cirrosi biliare primitiva e colangite sclerosante primitiva);
  • cirrosi da alterazioni metaboliche congenite (deficit di alfa-1-antitripsina, emocromatosi, morbo di Wilson);
  • epatiti fulminanti da virus, tossici, farmaci, disturbi metabolici, alterazioni vascolari;
  • tumori del fegato;
  • in età pediatrica l'indicazione più frequente è l'atresia delle vie biliari.


Controindicazioni al trapianto

  • Infezioni in atto;
  • gravi malattie concomitanti (renali, polmonari e cardiache soprattutto;
  • alcolismo attivo;
  • trombosi portali e mesenteriche estese;
  • replicazione virale attiva;
  • tumore che ha invaso altri organi fuori dal fegato;
  • positività per HIV.


Il post-trapianto di fegato

Superati i possibili problemi legati all'intervento e quelli relativi all'immediato postoperatorio (anestesia, complicanze propriamente chirurgiche, non funzione primaria del fegato ecc), ogni sforzo va fatto per la precoce individuazione delle infezioni e del possibile rigetto del fegato, evento quest'ultimo che costituisce nel primo anno dall'intervento uno dei problemi più gravi, specie se non diagnosticato e curato rapidamente.
Per quanto sopra detto va tenuto presente che la mortalità complessiva incide intorno al 20-30%. Fatto salvo dunque il periodo immediatamente successivo all'atto del trapianto, solitamente il paziente riprende con una certa rapidità una buona forma fisica.

Ultimo aggiornamento: 15 Luglio 2015
10 minuti di lettura

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